L’anima nell’immobile

La mano si strinse intorno all’impugnatura metallica, fredda e inerte. Quel freddo dava una sorta di brivido, una spinta inarrestabile, un desiderio tanto incontenibile quanto segreto.
I secondi passavano come se fossero secoli, la porta rimaneva chiusa mentre la mano stringeva ancora di più, come se volesse penetrare nel profondo, afferrare e fare sua l’anima di quel pugnale.
Un rumore svegliò Edoardo da quella sorta di tranche in cui si trovava: la maniglia ruotò e la porta si aprì, quasi di colpo.
Luca fece appena in tempo a corrugare il volto. Forse avrebbe voluto chiedergli cosa ci faceva a quell’ora sotto casa sua. O forse perchè sembrava così maledettamente serio. Aprì le labbra, ma le parole gli morirono in gola, in quella gola attraversata con un fulmineo movimento da una fredda lama affilata.
Cadde al suolo quasi senza fare rumore. Morto.

“Non ci posso credere, sei veramente fortunato oltre ogni limite!”
“Sai come si dice, fortunato al gioco…”
“Si, certo… Dai, ti prendo una birra”
Il commissario Fedeli guardò compiaciuto il mazzo di carte aperto sul tavolo, seguendo, con la coda dell’occhio, il compagno che si avvicinava al bancone del bar. Lui e Marcello erano sempre stati buoni colleghi e ottimi amici: si erano scontrati, ogni tanto, ma mai avevano confuso il lavoro con il personale. Erano stati insieme da sempre.
“Una corona ti andrà bene, spero…”
“Grazie, commissario
Non avevano ancora posato le labbra sulle bottiglie che un cellulare squillò.
Dopo una breve conversazione, Fedeli riassunse all’amico: “E’ arrivato un altro barcone in spiaggia, pare che a bordo ci siano tracce di un omicidio…”
Si alzarono insieme, mentre Marcello boffonchiava “Niente di personale, eh, ma proprio quando stiamo per farci una birretta devono arrivare ‘sti clandestini…Pure i morti di importazione ci abbiamo adesso”
Pagarono e uscirono velocemente.

C’era freddo su quel barcone, un freddo del diavolo.
“Chissà come sarà stato il viaggio- pensò Simone Fedeli mentre un agente lo indirizzava alla scaletta per salire a bordo -il mediterraneo a Dicembre non è di certo una passeggiata”
Salirono velocemente su quella fredda scaletta che barcollava pericolosamente al cinque metri da terra.
Il panorama del barcone non era di certo dei migliori, ma quel giorno non erano li per disquisire sulle condizioni di vita degli emigranti, ma per capire se vi era stato un omicidio.
Un agente li accompagnò in una saletta sotto coperta, dove tutto sembrava irrealisticamente immobile.
Si guardarono intorno: una piccola stanza, 4 metri quadri, circa, un tavolino con una gamba rotta e una vistosa saldatura in una parete. Poi, appena gli occhi si abituano alla penombra, appaiono altri piccoli particolari: una scatola da scarpe rovesciata, pezzi di plastica stracciata, alcune macchie di sangue…Sangue fresco.
Il commissario Cerruti si inginocchiò, sfiorando con una mano una di quelle piccole macchie. Vide poi un scintillio nel buio e allungò la mano, stringendo qualcosa di metallico, gelido, pungente.
Il freddo gli assalì la mano, il polso, poi l’avambraccio e arrivò alla spalla.
Si alzò di scatto, poi torse il busto e attraversò, con un preciso e rapido gesto, la gola dell’amico con la lama che teneva stretta in mano.
Simone cadde al suolo senza un rantolo.
Lo seguì, pochi istanti dopo,il corpo inerte del commissario Marcello Cerruti.

Era quasi emblematica la scena: uno sopra l’altro, così vicini in vita così come in morte.
Ma la cosa più strana fu che l’arma del delitto, un pugnale affilato di circa otto centimetri, non venne mai più ritrovata.
Non in quel barcone, almeno.

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